L’ultima via…

Il termine “suicidio richiama alla mente un gesto estremo, assoluto, irrazionale, disperato, o comunque lo si voglia definire, definitivo.

Con il collega socioterapeuta e ricercatore epigenetista Giovanni Cozzolino, abbiamo tracciato, studiato, cercato, analizzato le origini del disagio, le modalità ed i perchè.

L’aumento dei casi di suicidio, oggi, è pari al 30%. Cosa da non sottovalutare. serve intervenire, con orevenzione e supporto.

Secondo Emile Durcheim, maggiore esponente all’inizio del 900′ dello studio sociologico di questi eventi, l’idea che il suicidio sia un fatto sociale a sé stante, è la base per approcciare le varietà di questo gesto autolesionistico.

Gli ultimi studi di neuroscienze pongono l’accento viceversa su un altro aspetto sostanziale per il verificarsi di un tale evento.

La sua irreversibilità, secondo quanto si afferma in dette ricerche, va al di là del puro aspetto sociologico di cui parlava Durkheim.

L’aspetto saliente, essenziale, ed assoluto che produce tale atto, è il dolore .

La visione psicologica, che ha sempre contraddistinto gli studi e le ricerche in merito all’atto del suicidio, pone l’accento sul disagio psichico che il soggetto prova nell’evidenza di un evento che investe la sua vita, la sua esistenza, strappandolo alla visione razionale della stessa.

Ciò indurrebbe la persona a porre fine ai suoi giorni in modo repentino, o dopo un lungo ed esacerbante percorso intriso di depressione.

La forza, invece, che scatena il suicidio è l’investimento totale di tutto il nostro sistema recettoriale da parte di un dolore, spesso utente, che pervade la nostra persona, il nostro organismo fisico, in modo assolutamente intimo e profondo.

La particolarità di tale dolore è che esso non si somatizza in una qualche regione del nostro organismo, o in un qualsivoglia sistema d’organo, esso pervade la totalità di Noi, in quanto esseri psico-fisici, senza concentrarsi in un braccio, una mano, od un organo, come spesso avviene in altre situazioni.

Tranne in alcuni casi, in cui l’organo interessato è il sistema nevoso centrale, e quindi il soggetto è condotto spesso a concentrare la sua reazione su tale bersaglio, molto sovente, nell’atto di spararsi in testa, il dolore è interiore, endogeno, generalizzato e quindi sconvolge il nostro vissuto.

La persona sta male, si deprime, si estranea, cerca in qualsiasi modo di attenuare il dolore psichico, delineando un’immagine del dolore quasi “evanescente”, legata all’aspetto sociale, affettivo, e morale, ma pur sempre un “dolore”, che non ha una sua base definita ma comprende tutti gli aspetti di un vissuto.

La differenza, in ogni singolo caso, determina la capacità propria di sopportazione.

La forza di reazione del soggetto, la sua capacità di autoguarigione, che si impone a tale dolore in modo da smorzarlo, confinarlo, e seppellirlo sotto induzioni di segnali piacevoli e ripetitivi, che possono intercettare il messaggio recettoriale generale del dolore, con segnali alternativi similmente a quello che può fare un buon farmaco sintomatico.

Molte sono le componenti variabili: l’età, il sesso, l’ambiente di vita, le relazioni intessute, la cultura, e la natura stessa dell’evento traumatico che ha generato il dolore.

Sono altrettanti fattori che inducono le modalità di risposta alla sindrome.

L’età è sicuramente una condicio sine qua non, in relazione alla posta in essere del suicidio.

Gli adolescenti, per la particolarità evolutiva dell’età che attraversano, sono particolarmente vulnerabili, con scarsa o scarsissima capacità reattiva al dolore di certi eventi, e nessuna esperienza precedente di vita vissuta, che li aiuti a smorzare il fenomeno.

Per tale motivo, in questo momento storico, il tasso suicidario negli adolescenti risulta particolarmente alto, senza una particolare distinzione per sesso.

In special modo nel mondo occidentale, ove la qualità di vita del singolo ha raggiunto livelli quasi ideali, la capacita di risposta ad un qualsiasi stimolo o segnale dolorifico è divenuta praticamente nulla.

Inoltre tale capacità recettoriale si è amplificata e specializzata in molteplici forme, legate all’esponenziale progresso tecnologico che ha reso possibile una artificializzazione della realtà ( divenuta appunto virtuale) nella comunicazione, e nella relazione con l’Altro, al punto di produrre una sofferenza, appunto virtuale, del proprio Sè, nei confronti di una comunità che, anche attraverso i Social, abbiamo visto come può respingere, ridicolizzare, offendere, o accusare, senza che mai il soggetto, o i soggetti, si siano neppure visti, nè mai di persona conosciuti.

La depressione, l’anoressia, la bulimia, e le crescenti patologie autoimmuni, sono altrettanti fonti di un malessere, di un dolore generalizzato, che spinge verso l’ultima via questi giovani sempre più fragili, sempre più soli, sempre più privi di quegli anticorpi sia organici che sociali, mattoncini che possano aiutarli a vincere questo “male oscuro“, questo dolore endogeno che non si cristallizza, e che rende il vivere una sofferenza acuta impossibile a sopportare.

Esistono studi che parlano di metodi, protocolli, o cure, per prevenire e per affrontare questo drammatico problema? Certamente si. La ricerca continua e costante nel campo delle neuroscienze sta offrendo visioni importanti, come importante è, sempre, rivolgersi a seri specialisti.

 

  © Riproduzione vietata

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.