Sfidare la morte, perchè?

Sfidare la morte, perchè? Adolescenti che mettono a rischio la propria vita per noia, o per dimostrare di poter superare i limiti, o per l’incoscienza.

Il gioco, ogni volta diverso, è tremendo e pericolosissimo: da quello di attraversare la strada mentre sfrecciano le macchine, a quello di sdraiarsi sull’asfalto, o sui binari del treno, ed è di questi giorni l’ultimo dei giochi: porsi all’esterno delle tramvie cittadine, facendosi filmare da coetanei al seguito in auto.

Bravate? No, incoscienza spiazzante. Il brivido di giocarsi la sorte, il rischiare che diventa passatempo.

Quei ragazzi, poco più che bambini, cercano l’adrenalina.

Cercano emozioni forti. Complici i social che tutto mettono in risalto ed in vetrina, e quindi offre loro visibilità.

 

Negli adolescenti è tipica da sempre l’esigenza di unicità e visibilità, ed è proprio questo che li conduce spesso a mettere in atto comportamenti provocatori e spesso rischiosi.

I ragazzi non riconoscono l’utilità di regole, se non per sbatterci contro, per cercare di infrangerle. Anche per contrastare quel sistema valoriale imposto, affamati di identità propria.

Gli adolescenti, invece, hanno bisogno di confini, capaci di salvaguardare la loro sicurezza, di tutelare la loro protezione, e sin da bambini occorre mettere dei paletti perchè si possa crescere con le regole, utili per rispettare le esigenze degli altri e perchè gli altri rispettino le nostre.

Dopo i lockdown si è notata qualche esuberanza in più. Ma l’aspetto più preoccupante, è un altro : pare riesca sempre più difficile, agli adulti, dare una stretta, un freno a questi eccessi, e far capire che la trasgressione c’è stata e che il limite esiste, e che non bisogna travalicarlo.

Ma l’impressione è che agli occhi degli adolescenti tutto si possa fare e che i limiti non ci siano più.

“E chi l’ha detto che fare questo non si può?” la loro tipica frase. Tutto, quindi è possibile.

La paura del rimprovero è effimera o quasi inesistente. Ricordiamoci di quando un tempo, subito dopo la bravata, scappavamo via di corsa, perché avevamo chiaro di aver infranto le regole, ed avevamo paura paura del castigo. Oggi svanisce perché i ragazzi non conoscono il senso di colpa, o per lo meno non lo conoscono per come lo sentivamo noi. E in questo gli adulti, diciamolo, sono corresponsabili.

Perchè ai loro occhi non c’è più un’autorità credibile che imponga loro il divieto, le regole e semmai penalità educative in caso di trasgressione.

Alcuni studiosi affermano sia un bene se aver nel tempo liberato i ragazzi dalla paura del castigo, altri (invece) mettono in luce la ” debolezza”  dell’autorità “paterna”, ruolo cardine per l’educazione dei figli.

Il limite ha un valore e bisognerebbe recuperarlo, ma oggi tra social, challenge e videogiochi, c’è una assuefazione alle prove di coraggio che rende tutto fin troppo normale. Anche il dolore, anche il rischio.

Il senso del pericolo è scomparso, ed è importante sensibilizzare i giovani, ad esempio, anche sul consumo diffuso di alcol, con un aumento da parte degli adolescenti inquietante. Da professionista posso dirlo chiaramente, e senza timore di sembrare eccessiva: il problema esiste.

Ciò che si evidenzia mette in risalto come gruppetti di giovani, si lancino in avventure ai limiti del rischio, ma devono sempre aver chiaro che il confine c’è, ed è netto. E che non è necessario fare gli eroi. Perchè c’è la vita di mezzo. Dal salire sul tetto di un treno, a sdraiarsi sui binari, a partecipare a Challenge su Tik Tok per fare la ” bravata”, a darsi fuoco per dimostrare la forza davanti al dolore, e potremmo continuare, perchè la “sensation seeking” è la ricerca di emozioni nuove.

Esprime il bisogno di cercare nuove sensazioni, situazioni emotivamente forti e particolarmente intense, anche al prezzo di mettere a rischio la propria incolumità e quella delle persone che stanno intorno.

I giovani da sempre si mettono alla prova, ma ora vanno rieducati al valore dei confini, e dire no, imporre dei limiti è fondamentale per crescere bambini autonomi e sicuri di sé, significa trasmettere al bambino un modello che lo aiuterà a cavarsela in modo autonomo, lo farà sentire al sicuro in famiglia e lo aiuterà a sviluppare le proprie risorse.

I limiti possono rappresentare delle frustrazioni e far arrabbiare un bambino, ma sono anche dei cancelli, che lo proteggono e lo fanno sentire al sicuro.

A volte è difficile dire no, indubbiamente, e cercare di negoziare una soluzione comune pur tenendo fermo il nostro punto di vista. Anche con i figli oggi è così, ma questo mette il genitore in piano di debolezza, e questo non arreca valore al bambino, adulto di domani.

Pensate, se un bambino riesce, nei suoi mille modi possibili,  a dominare un adulto, indubbiamente si pone in una posizione molto inquietante. Se all’età di due, tre anni si sente più potente di chi si prende cura di lui, come potrà poi proteggerlo, se se ne presenta la necessità?

Un no non è necessariamente un rifiuto dell’altro o una prevaricazione, una punizione, ma può invece dimostrare la fiducia nella sua forza e nelle sue capacità, e allo stesso tempo educarlo al futuro.